PAROLE PER L'UNITA'

unitàL'Unità d'Italia si festeggia anche con le parole.

 

1861- 2011- Festa dell' Italia unita -
Chi ha voluto l'unità d'Italia -


Il problema dell'unificazione nazionale italiana si era posto già all'indomani del congresso di Vienna. Per quasi quarant'anni si erano susseguiti i tentativi di espellere gli austriaci dalla penisola e di unificare i sette stati italiani.
Si era pensato a una confederazione guidata dal papa, a una confederazione con a capo i Savoia a un regno unitario dei Savoia, a una repubblica, unitaria, a una federazione di repubbliche.
Alla fine, in poco più di un anno, tra il 1859 e il 1860, l'unità d'Italia
Avevano contribuito Napoleone portando l'esercito francese in Lombardia, gli inglesi dando il loro assenso, i Savoia e l'esercito piemontese combattendo per espandere il regno di Sardegna, Cavour con il suo lavoro diplomatico e politico, i liberali piemontesi e lombardi sostenendo il difficile progetto di Cavour, le popolazioni dell'Italia centrale chiedendo l'annessione al Piemonte, i democratici
e Garibaldi organizzando la spedizione dei Mille, contadini del meridione combattendo a fianco di Garibaldi per abbattere lo stato borbonico.
Ciascuno di loro aveva combattuto avendo in mente un progetto particolare, ciascuno pensava a un'Italia diversa.

Il 17 Marzo 1861 il primo parlamento dell'Italia unita proclamò la fondazione del regno d'Italia, conferendone la corona a Vittorio Emanuele II.
si era realizzata. All'unificazione avevano contribuito in molti, dentro e fuori l'Italia.

17 Marzo Festa dell'Italia unita -
Giosuè Carducci -
Italia -


Italia, Italia! Dalle Alpi per l'Appennino a' due mari; sulla riviera ligure, in riva ai fiumi e ai laghi piemontesi e lombardi; via per i colli d'Emilia e Toscana; e per il Piceno ridente, e per l'Umbria serena, e per la Comarca solenne; e per li rigidi e floridi Abruzzi; e per la Campania e per la Puglia ubertose; e per la selvosa Calabria; e nell'isola bella del sole, e nella severa isola dei nuraghi, dovunque, cui lo spirito di Gracco e la forza di Cesare marcò dell'impronta di Roma, signora della civiltà mediterranea; dovunque e per tutto, Italia, Italia!
Ogni regione è un focolare, ogni città è un altare!

 

All'Italia - Giacomo Leopardi

O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata

E nella fausta sorte e nella ria.
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perché, perché? dov'è la forza antica,
Dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
O qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco

Agl'italici petti il sangue mio.
Dove sono i tuoi figli? Odo suon d'armi
E di carri e di voci e di timballi:
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E fumo e polve, e luccicar di spade
Come tra nebbia lampi.
Né ti conforti? e i tremebondi lumi
Piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi
L'itala gioventude? O numi, o numi:
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari,
Ma da nemici altrui
Per altra gente, e non può dir morendo:
Alma terra natia,

La vita che mi desti ecco ti rendo.
Oh venturose e care e benedette
L'antiche età, che a morte
Per la patria correan le genti a squadre;
E voi sempre onorate e gloriose,
O tessaliche strette,
Dove la Persia e il fato assai men forte
Fu di poch'alme franche e generose!
Io credo che le piante e i sassi e l'onda
E le montagne vostre al passeggere
Con indistinta voce
Narrin siccome tutta quella sponda
Coprìr le invitte schiere
De' corpi ch'alla Grecia eran devoti.
Allor, vile e feroce,
Serse per l'Ellesponto si fuggia,
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
E sul colle d'Antela, ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide salia,

Guardando l'etra e la marina e il suolo.
E di lacrime sparso ambe le guance,
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglieasi in man la lira:
Beatissimi voi,
Ch'offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch'al Sol vi diede;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.
Nell'armi e ne' perigli
Qual tanto amor le giovanette menti,
Qual nell'acerbo fato amor vi trasse?
Come sì lieta, o figli,
L'ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e duro?
Parea ch'a danza e non a morte andasse
Ciascun de' vostri, o a splendido convito:
Ma v'attendea lo scuro
Tartaro, e l'onda morta;
Né le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l'aspro lito

Senza baci moriste e senza pianto.
Ma non senza de' Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia
Tal fra le Perse torme infuriava
L'ira de' greci petti e la virtute.
Ve' cavalli supini e cavalieri;
Vedi intralciare ai vinti
La fuga i carri e le tende cadute
E correr fra' primieri
Pallido e scapigliato esso tiranno;
Ve' come infusi e tinti
Del barbarico sangue i greci eroi,
Cagione ai Persi d'infinito affanno,
A poco a poco vinti dalle piaghe,
L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva:
Beatissimi voi

Mentre nel mondo si favelli o scriva.
Prima divelte, in mar precipitando,
Spente nell'imo strideran le stelle,
Che la memoria e il vostro
Amor trascorra o scemi.
La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando
Verran le madri ai parvoli le belle
Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro,
O benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle,
Che fien lodate e chiare eternamente
Dall'uno all'altro polo.
Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest'alma terra.
Che se il fato è diverso, e non consente
Ch'io per la Grecia i moribondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
Tanto durar quanto la vostra duri.

 

 

indietro

 

Comune di Stilo - Piazza San Giovanni T., 1 - 89049 Stilo (RC)

Telefono: 0964776006  -  Telefax: 0964775312

Partita I.V.A.: 00315870808 - Codice Fiscale: 81001070804  

e-mail : servizio.amministrativo@comune.stilo.rc.it

PEC: comune.stilo.rc@asmepec.it


 

HTML 4.01 Valid CSS
Pagina caricata in : 0.095 secondi
Powered by Asmenet Calabria